giovedì 30 maggio 2013

Verri e il Sindacato Nazionale Scrittori

 
Aldo De Jaco, Antonio Verri,  Nora, Maurizio Nocera e  Ivana  Slavona
in una fotografia di Fernando Bevilacqua
L'impegno contro il mercato delle lettere
di Maurizio Nocera

Il Sindacato Nazionale Scrittori (SNS) è stato sempre presente in Salento, grazie al fatto che Aldo De Jaco, uno dei suoi fondatori fin da subito dopo il secondo dopoguerra, era di queste parti, per l’appunto nato a Maglie, poi, bambino, si trasferì con la famiglia prima a Napoli, successivamente, dopo sposato, a Roma, dove svolse per decenni l’attività di giornalista.
Per più di 30 anni Aldo De Jaco fu segretario generale del SNS. Quando, negli anni ’70, toccò a Rina Durante (spesso coadiuvata da Gino Santoro) rappresentare il SNS in Salento, fece ogni possibile sforzo per cercare di far crescere il sindacato. Per una breve parentesi anche Enzo Panareo fu coinvolto nell’organizzazione finalizzata alla crescita del sindacato. Ma chi più di tutti profuse le sue energie per questo tipo di organizzazione sindacale fu Antonio L. Verri il quale, se pur alieno a qualsiasi tipo di struttura gerarchico organizzativa, per anni riuscì a tenere in contatto il centro romano con la periferia salentina.
Verri riuscì ad organizzare il sindacato in Salento a partire dal XIV congresso nazionale (1988), rappresentandolo fino al XVI (maggio 1991). In quest’ultimo congresso fece pure parte della Commissione politica, all’interno della quale svolse un ruolo importante riuscendo a far inserire nel documento politico un tema a lui molto caro, cioè la difesa delle minoranze etniche. Ovviamente il suo sguardo era rivolto al greganico salentino. Ecco il punto del documento in cui Verri contribuì: «In anni di confusione, di incertezza e di rischi dì imbarbarimento culturale, sia a livello nazionale che mondiale, quelli che erano ieri i problemi delle minoranze linguistiche e culturali stanno investendo nazioni intere, come l’Italia. Si sta imponendo, infatti, una lingua “senza qualità”, indotta dall’impoverimento di massa della parola».
Ricordo come se fosse ieri la nostra partecipazione a quel congresso, che si svolse presso la scuola sindacale nazionale della Cgil ad Ariccia, il 30-31 maggio 1991. La delegazione salentina era composta da Antonio L. Verri, Fernando Bevilacqua, Fabio Tolledi e chi qui scrive. Nonostante che il Verri e il Bevilacqua facessero di tutto per essere presenti solo l’essenziale alle diverse sedute del congresso, ugualmente però Antonio riuscì a dare il suo contributo al dibattito attraverso degli incontri che tenne direttamente con Aldo De Jaco.
La sua prima preoccupazione la rivolse alla richiesta di un disegno di legge parlamentare per la difesa della lingua grika assieme ovviamente alle altre lingue cosiddette minori, come la sarda, il ladino, l’arbresch, ecc. Nei lavori di commissione Verri intervenne per criticare il mondo politico che si dimostrava inadeguato nella difesa della lingua nazionale e inadempiente nei confronti del lavoro degli scrittori. Nonostante che anche lui usasse parole di provenienza anglosassone nei suoi differenti progetti culturali, i suoi interventi all’interno del SNS furono comunque critici verso l’uso indiscriminato di parole inglesi nella lingua nazionale. Si dichiarò sempre contrario alla cultura dell’indifferenza, soprattutto da parte di alcuni scrittori altolocati, a causa dei quali in Italia c’era una prevalenza inopportuna del mondo editoriale rispetto a quello degli autori.  
Più volte criticò la legge fascista sui diritti degli autori, purtroppo ancora in vigore, che dava adito ad una vera schizofrenia nel mondo dell’editoria italiana, all’interno della quale gli editori da sempre hanno fatto i comodi loro, mentre gli autori sono stati costretti a girare come vagabondi tra le diverse case editrici per proporre un loro testo. Per Verri, come d’altronde per l’intero SNS, occorreva fare una legge a difesa degli scrittori. Vecchia tematica questa, che ci aveva visto spesso dibattere anche qui in Salento. Non poche volte Verri era intervenuto per dire che lo scrittore in fondo altro non è che una sorta di prestatore d’opera, in fondo un lavoratore dipendente non solo da una casa editrice, quando tale casa editrice lo ha scelto come suo autore, ma anche dipendente dal contesto sociale in cui vive e opera. Per lui la funzione dello scrittore era prevalentemente sociale.
Su questi temi non dimentico un dibattito con Verri e De Jaco, in casa di quest’ultimo a Maglie. Per il Verri le idee e gli ideali, filtrati nell’opera degli autori (poeti, narratori, artisti della parola e dell’immagine) dovevano essere più che mai necessari più che nel passato contro ogni forma di appiattimento culturale, per cui l’impegno dell’organizzazione degli scrittori doveva svolgersi nella lotta per la difesa della sua funzione sociale: lo scrittore non doveva essere succube dell’editore, ma doveva vedere quest’ultimo come una sua controparte, dalla quale esigere il rispetto dei contratti e dei diritti. Per Antonio, lo scrittore è colui che testimonia il proprio tempo. Nelle nostre società, tecnologicamente avanzate, è attraverso l’opera dello scrittore che è possibile leggere il passato. E a questa funzione Verri teneva molto. Per questo motivo, egli si faceva in quattro per non mancare ad un appuntamento culturale o ad una presentazione di un libro.
Spesso se la prendeva con il povero De Jaco, che nulla centrava, perché anche lui lottava con noi e più di noi, per chiedere al governo italiano l’istituzione di una commissione nazionale governativa e parlamentare per la difesa del libro e quindi della cultura in generale. È noto che l’Italia repubblicana, a differenza di altri paesi, non ha mai avuto un ministero della cultura, e questo era un fatto che irritava enormemente Verri. Per lui era importante che questa tematica fosse sempre presente nel SNS, perché significava essere presenti nella difesa della creatività dello scrittore. Diceva – e questo lo ha anche scritto – che la funzione creativa e sociale dello scrittore era il punto cardine della sua operatività. Lo scrittore doveva essere libero nella sua azione e spregiudicato nel rischiare tutto quello che c’era da rischiare per abbattere le forche caudine dell’appiattimento culturale. E non dimenticava di dire – ma anche questo lo ha scritto – che la funzione sociale dello scrittore fondamentalmente è portatrice di liberazione da veti, tabù e dipendenze di chicchessia. Per Verri lo scrittore non era un soggetto corporativo, perché doveva essere propria la sua funzione sociale ad impedirglielo. E non si dimenticava di aggiungere: “salvo eccezioni”.
Il suo impegno sindacale fu sempre contro il mercato delle lettere, cosa che, purtroppo, si è venuta a verificare in questi ultimi vent’anni di disastro letterario. Odiava a morte quelli che consideravano il libro come un oggetto di consumo. Per lui, lo scrittore doveva essere una sorta di tecnico della parola e servirsi di essa per fare opera di coscientizzazione culturale.

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