sabato 25 maggio 2013

Le Ms blu

Le MS blu nel pacchetto duro erano le sigarette preferite da Antonio Verri

NON CI SONO PIU’ QUELLE FABBRICHE DI SIGARETTE
di Maurizio Nocera
Ne sono certo, accadde nel dicembre 1992. Con Antonio Verri ritornavo in macchina da Roma. Galeotta era stata una riunione del sindacato scrittori.
La notte precedente l’avevamo passata da Aldo De Jaco, nella sua casa di Monte Mario. Come sempre, io avevo dormito profondo. Di lui, al mattino, assieme ad Ivana Slavova, la moglie bulgara di Aldo, avevamo saputo che tutta la notte Verri aveva tenuto in camera la luce accesa e che forse non aveva chiuso occhio. Scherzammo un po’ di questa abitudine di Antonio, ma il vederlo comunque fresco in viso, ci fece dimenticare la stranezza e, come stabilito, dopo colazione, partimmo per Lecce.
Era un tristissimo inverno, e noi correvamo verso i luoghi del nostro incanto, verso le origini dalle quali non avevamo saputo separarci, verso nostra (ovviamente più sua che mia) madre che, in pena, ci aspettava per raccontarci di quella volta in cui ci cucinò i “disperati” (una specie di pastetta fritta condita con olive e intruglio di pizzaiola) e noi, furbi, andammo a nasconderci nell’ammezzato.
Ad un certo punto della corsa verso il Sud, cominciammo a parlare di «Caffè Greco», delle cartelle d’autore «Abitudini», della ricerca di un editore per I poeti del ‘Pensionante’. Antologia di una rivista del sud Europa, della continuazione del libro Dieci anni in rivista. Lettere 1989-1992, del suo nuovo libro inedito Le nuvole e l’arcolaio, ma anche di un libro di ritratti fotografici con un testo suo e con le foto di Fernando Bevilacqua.
Sicuramente Antonio parlò anche del Declaro, di questo tormento della vita, questo “suo” libro dei libri. Ci pensava sempre, giorno e notte. Altro pensiero la ristampa de Il pane sotto la neve. Poi altro ancora. Ecco.
Correvamo verso il Salento, terra amata, impastata di miti e di riti, terra di suoni di magia, di mesar-lì e di arsapi scurnusi, che con gli animali della possessione avevano avuto sempre a che fare. Terra della taranta, del ragno tessitore di ogni cosa, della vita come della morte. Anche Antonio aveva “lavorato” per la Tarantula lycosa, in tempi lontani, quando ancora si firmava, agli inizi degli anni ‘70, Regino Renard. Aveva dipinto un quadro, una grande maschera di un arsapo salentino posseduto dalla tarantola, animale che ricopriva (e ricopre) l’intera tela. 
Verri era già un fiume in piena, una babele di parole, una sorgente di forme colosse, una fornace di betisse scollacciate; un tornado su terreni di creatività eccessive. Grande camminatore, macinatore di chilometri su chilometri, mantice che gonfia la sua mongolfiera di carte, fotografie, ritagli di giornali consumati, di penne di ogni colore, di appunti scritti su ogni dove, anche sui tovagliolini del bar, di nomi e di cognomi di amici, di poeti, di altre cose, di altre storie, pronte per spiccare il volo dalle pagine dei suoi quadernetti dalle copertine variopinte.
Antonio era pure biblos, bagliore, rotolo, carta colorata, coriandolo celeste, scarti tipografici, uomo coreutico che danzava camminando, funambolo ballerino, saraceno pensionato e quindi turco stonato. Altro ancora. Forse. Io non so. So solo della dolanza del suo corpo, della stramberia dei suoi occhi, della struggenza del suo sguardo.
Una volta, tra il sorriso di miele e l’occhio buono triste, mi disse: «Suvvia, professore, non prendertela. Così è la vita. E così è pure la morte. Comunque, tu manterrai gli impegni presi. Una volta che io sarò morto, di tanto in tanto mi porterai un pacchetto di Ms-blu dure in quel posto che tu conosci: a Badisco, tra il recinto delle pietre antiche e la scogliera, davanti al mare e alla luce splendente del sole che nasce. Ciao».
Antonio Verri dal Tabaccaio, a Muro Leccese la sera del 24 aprile 1993
in una fotografia di Fernando Bevilacqua
Sono un po’ triste oggi. Sono passati vent’anni da quando Verri non c’è più, e si avvicina quel fatidico 9 maggio in cui egli spiccò il volo verso quell’alto che più in alto non si può. Sono alla ricerca di un pacchetto di sigarette, quelle da lui fumate. In punto di morte mi aveva chiesto di portargliele di tanto in tanto. Da anni le cerco. Tutti mi dicono che le fabbriche di quelle sigarette hanno chiuso.
Lecce, Gennaio 2013

La pagina de Il Paese nuovo del 20 gennaio 2013
con l'articolo di Maurizio Nocera

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