martedì 24 dicembre 2013

"Marsia - variazioni poetiche" per Antonio L. Verri

La copertina del numero di Marsia (Progedit - Bari) dedicato a Verri a cura di Salvatore Francesco Lattarulo

di Alessandra Peluso 

Permanere nell'indifferenza e vagare nella superficialità sarebbe stato per Antonio Verri un sacrilegio, un'altra morte non parlare della poesia, della cultura e della sua fondamentale importanza. Per questo e per molti altri motivi non potevo non soffermarmi a leggere la rivista “Marsia. Variazioni poetiche”, pubblicata da Progedit, dedicata ad Antonio Verri, alla sua personalità e alla forte mancanza sentita in particolar modo dalle persone che lo hanno conosciuto.
Il numero della rivista è curato dalla sensibilità di Salvatore Francesco Lattarulo, attonito quando scopre che nel paese natale del poeta - Caprarica di Lecce - non ci sia nulla di dedicato a lui: una statua, un busto, una via. Forse non c'è tanto da meravigliarsi, forse ad Antonio Verri non avrebbe fatto piacere non amando l'apparire, l'ostentazione ma sarebbe stato contento se il suo nome fosse stato utilizzato per unire gli uomini, gli amici, i lettori in nome della poesia e della cultura. 
A tal proposito si legge: «Cominciate, poeti, a spedire fogli di poesia / ai politici, gabellieri d’allegria, / a chi ha perso l’aria di studente spaesato / a chi ha svenduto lo stupore di un tempo … », perché - scrive Stefano Donno - sia di stimolo alle nuove generazioni che pubblicano e creano, che sia un monito al recupero dello stupore forse, dell’onestà intellettuale meglio. Su questa grande personalità a Lecce è sorto “Il Fondo Verri” curato da Mauro Marino e Piero Rapanà: luogo davvero unico di leggende e scritti di e su Verri se ne possono trovare con discreta generosità. (p. 34). E come dar torto a Donno che conosce e ama profondamente la poetica verriana e la storia della poesia salentina.
Ed ancora nell'intervento di Sergio Torsello si legge: «La scrittura di Verri era una scrittura verticale, addirittura vertiginosa. Perché poggiava su radici solide e profonde. L’esatto contrario, insomma, di una scrittura orizzontale». (p. 32). Numerosi gli interventi e le testimonianze contenute in questo numero di “Marsia” come quello ad esempio di Maurizio Nocera, Carlo Alberto Augieri, Salvatore Colazzo, Antonio Errico. 
È evidente l'entusiasmo, l'affetto, la stima e l'estrema cura nei riguardi di Antonio Verri che avrebbe meritato che il paese cambiasse nome in suo onore: «Io stesso, da tempo, sto cercando di dare corpo all’idea di Vittore: far diventare Caprarica di Lecce “Caprarica del poeta”». (Fernando Bevilacqua, p. 61). Senza alcun dubbio è stata una fortuna conoscere personalmente Verri, e un dolore acuto perderlo e forse anche per questo, per tentare di colmare questo vuoto, un'assenza nella letteratura salentina e nazionale che merita oggi di esserci non soltanto per poesie meravigliose, scritti come il “Declaro”, “Il pane sotto la neve” che occorre salvare dall'oblio, ma per l'onestà intellettuale che apparteneva ad Antonio Verri, il senso di umanità. Va salvaguardato e diffuso tutto: essenza ed esistenza, uomo e scrittura.
Si legge: «Non c’era pensiero, non c’era visione, neppure l’attimo di un giorno che non si trasformasse in scrittura. Le creature, i paesaggi, un batticuore, i fondali dell’esistere, un pulviscolo dorato, il padre, la madre, gli amici, le tenere malinconie, le lucide ossessioni, per Antonio Verri non erano altro che pretesti per versi, narrazioni. Forse come Zarathustra di Nietzsche pensava: aspiro forse alla mia felicità? Io aspiro alla mia opera». (Antonio Errico, p. 68).
Un personaggio articolato e complesso, visse molto intensamente e generosamente, profuse immense energie per costruire un mondo poetico da abitare. Visse poeticamente e morì tragicamente - scrive Salvatore Colazzo - riprendendo il ruolo che la poesia aveva per l'amico Verri e parimenti sia oggi dopo vent'anni: «la poesia è fiamma che consuma, è l’incontenibilità della vita che esonda e produce parole come fossero eruzioni laviche». (p. 82).
Ispirazione e modello di una necessità di dire e di dirsi incontenibile, passione esaustiva pervade il lettore che resta totalmente rapito dalla magnificenza raccontata in “Marsia”. Contributi che devono essere centellinati come versi, letti, meditati e poi sperare di riconoscere e condividere con l'altro, gli altri lo stesso amore spregiudicato che Antonio Verri ha avuto per la poesia sofferta, vissuta in ogni particolare, dettaglio, nulla è stato lasciato al caso per Verri nemmeno la morte.
Conoscere e diffondere per quanto sia possibile la produzione verriana è un atto di generosità che spetta non solo ai salentini ma agli italiani tutti, un modo per ringraziare chi per la cultura ha dedicato una vita intera senza profitti né lucri né fini egoici, uno spirito cosmopolita da assumere come modello e dal quale attingere.    

lunedì 23 dicembre 2013

Antonio Antonio!


La copertina del libro edito nel 2003 da "il laboratorio" di Aldo D'Antico a Parabita
Antonio Antonio,
o dell'amicizia
di Alessandra Peluso

Nostalgia, affetto, ammirazione emergono in “Antonio Antonio, o dell'amicizia” di Maurizio Nocera nei confronti di Antonio Verri.
Uomini che hanno condiviso l'amicizia, ma soprattutto l'amore per la cultura, la libertà nella conoscenza, in un sapere  non accademico né vincolato in mura pregiate ma sconfinato, in un sapere profondamente impegnato. Così com'era Antonio Verri, poeta salentino, impegnato, che il professore Nocera e molti suoi amici hanno tenuto vivo il ricordo. Emblema di umanità, vi è  costantemente e con zelo la volontà di diffondere le vastissime opere verriane e in particolar modo il suo essere poeta.
Per comprendere la grandezza di Verri è necessario leggerlo e accostarsi da vicino al suo pensiero, alla vasta mole di versi liberi, sciolti da ogni artificio e faziosità, liberi di essere espressione di se stesso, liberi da catene e padroni, perché il poeta non amava vincoli né compromessi. Ha tentato di insegnare la passione verso la poesia e la cultura, amando intellettuali dediti al sapere, coinvolgendo i giovani in un impegno sociale per un cambiamento.
Lo crede lo stesso Nocera che in “Antonio Antonio, o dell'amicizia” scrive versi dedicati a Verri, narra episodi che coinvolgono il poeta come si legge nella bellissima “Castra Minervae”: «Dondolavi dolcemente sul tuo splendido cavallino bianco / ricordo di luoghi di tempi lontani, / forse i più belli, forse i più cari / curlandoti fra le grosse mani / i magici Canti orfici di Campana». (p. 45).
Risuona incessante l'eco del passato che non si può né si deve dimenticare. Vige imperante la stima e l'affetto verso un uomo che nonostante gli sforzi non è ancora conosciuto e non ha i meriti che dovrebbe. Forse Antonio Verri da persona schiva ed umile com'era non avrebbe amato orpelli o riconoscimenti, ma senza dubbio avrebbe apprezzato la voglia di condividere con entusiasmo la poesia, la scrittura: strumenti infallibili che indicano libertà, intelligenza e onestà intellettuale. Occorre prendersi cura di Verri e Maurizio Nocera lo sa bene, e ad oggi continua a farlo in segno di un'amicizia che ha il sapore dell'eterno. 
Mentre nei versi dell'autore si avverte tutto l'odore di una terra salentina amara, gravida di “ritmi transmatici di un Salento rosso di fuoco”.
Veleggia passione, solitudine, nostalgia, rimpianti, malinconia, un passato che Maurizio Nocera mantiene vivo e alimenta con significativi sensi e significati che la poesia esprime.
Leggere “Antonio Antonio, o dell'amicizia” provoca tutto e il contrario di tutto, la memoria e l'oblio, la gioia e il dolore, la bellezza e la meschinità, l'aridità e la fertilità di un'identità forte e fragile allo stesso tempo come quella di Antonio Verri. Immergersi nei versi del professor Nocera è d'obbligo, è un atto dovuto a chi ci ha lasciato ma soltanto fisicamente ed è altrettanto opportuno ricordare la produzione letteraria di Verri, gran parte in luce grazie al lavoro dei suoi fedelissimi amici ma ancora tanto deve essere conosciuto, perché un eclettico e poliedrico come Antonio Verri non si stancava mai di diffondere il sapere e intrecciare amicizie - quelle vere - che oggi purtroppo mancano o son rare.
Antonio che sognava e amava che gli altri sognassero, “Antonio caput mundi” come lo definisce degnamente l'amico Maurizio: «Mi parve di vederti / in un'aura di luce / al tepore della pietra nascosta / ai piedi di Torre sant'Emiliano / dalle parti di nostra Magna Mater. / Era la luce, / Antonio, / poi venne il buio / per sempre». (pp. 109-110). Non permettiamo che questo buio resti fitto e denso, immobile e insensibile alla luce, ma anzi cerchiamo di penetrare nel mondo incantevole di Antonio Verri, nella sua illimitata sensibilità, lasciando affondare i versi taglienti e vivi di “Antonio Antonio, o dell'amicizia” perché giungano senza impedimento alcuno nella mente e nell'anima di ognuno di noi, di un lettore che non abbia a confrontarsi con il rimorso di non aver conosciuto Antonio Verri o con il rimpianto di non aver fatto qualcosa per lui.
E per tal motivo Maurizio Nocera - che non ama definirsi poeta - scrive in versi come necessità prioritaria di far ascoltare le “voci” poetiche di Antonio Verri e Salvatore Toma: i Poeti che non si può non ascoltare, non amare!

giovedì 5 dicembre 2013

Perchè vedi Antonio...

di Vito Antonio Conte

Sabato ultimo del novembre già andato, a Vignacastrisi, s’è svolto il reading “Maledetti Poeti”, voluto dall’Officina d’Arte di via S. Francesco (alias Agostino Casciaro… in collaborazione con il Consorzio Autori del Mediterraneo, l’Associazione Culturale Parabola A Sud e l’Assessorato alla Cultura del Comune di Ortelle). Più che un omaggio o un ricordo, una testimonianza d’amore al poeta (di Caprarica per nascita, ma del mondo per vocazione) Antonio Leonardo Verri (nel ventennale della sua morte). Un coro di voci s’è levato a riprova del fatto che Antonio è sempre vivo. Una tra le tante manifestazioni che quest’anno han parlato di Antonio e con Antonio. Mi accorgo che ne scrivo come se fosse (e non fosse stato) mio amico, dandogli del tu, chiamandolo per nome. Invece, non l’ho mai conosciuto. Forse. L’ho incontrato (questo è certo) dopo… Gli ho anche rubato (ma Antonio lo sa…) un verso (che ho usato a mo’ di esergo per un mio libro), ma ben altro gli devo… E allora, per ringraziarlo, tra tutto quel che ho sentito la sera furibonda di pioggia e di vento e di parole del trenta novembre scorso, rubo a Giovanni Santese (ma Giò lo sa…) un suo vecchio “scritto” (liberamente tratto e ispirato da “Il Fabbricante Di Armonia – Antonio Galateo” di Antonio Verri) che, all’epoca, firmò (Giovanni intendo) P.E. (ossia Pessimo Elemento, dal nome del suo blog, ormai chiuso da tempo, ma che – come i buoni versi – ancora gira e rirerà nel tempo…). Ecco:  

Dialogo principiato, abbandonato
e mai ripreso con Antonio Verri
di Giovanni Santese
perché vedi Antonio
ad uno scrittore capita di trovarsi di fronte una campagna arida, di parole, estesa fin dove posano gli occhi, polverosa e sbrindellata quanto basta (e se non capita è perché non si è scrittori), matta e spessa ad assorbire i raggi dell’ispirazione, del tumulto, dell’abbrivio poetico potente quanto serve ad arare di solchi immortali tanta arsura spianata

perché vedi Antonio
in quei momenti, in quei momenti là dico, è bello (o utile, dico) avere un alter ego, che parli per noi, che come un menestrello riunisca in uno spartito parole vuote apparentemente senza senso, ma che assumono leggendole una musicalità strabiliante, un alter ego insomma… con panni d’arlecchino, la faccia impiastricciata di neve e di farina, al lieve andare sbandando la figura, mima, sorride, fa boccacce… oh grandioso figlio del nulla, ma… è stefan, è stiffan l’inventore, il solitario impostore, lo svagato cercatore di lucchi, l’eterno pellegrino suasore, il sognatore cocente, babelico, fumoso… ma è proprio galateo questo mago che viene, questo diavolicchio che cresce come il timo… tira una parola dietro l’altra, simula uno squilibrio, continua il gioco… è tanto preso, però, che il tutto spesse volte gli sfugge di mano: ecco, allora è qualcosa di divino, piroettante, aristocratico (per usare i suoi suoni), allora nient’altro che parole, neologismi, accettazione propria, doppie, elisioni, d’una musicalità strana, umorale, faticante… (da parte, la mar: istigazione a movimenti lenti, riflessivi, a godere del tempo, istigazione al tabulare, all’intrico di fatterelli, numeri, folletti, cuoricini… istigazioni, istigazione alla cabala…) oh no, guatarazzi no, scalcioni puttenosi, minnàculi spersi, sguanci, ronze, parse, pizzi, gustose pasticche, quaresimali, mustocciomini, non v’è più alto mondo di questo vigneto, cellule serrate, rami a stella familiare…; e sotto questo vigneto, vi dico, è luce, è luce che pressa sul gran vuoto, che arrotonda l’idiozia dei caseggiati – questi che sono cristalli, questi che sono sorde caccole di luce, cadute in terra, diventate costoni pali treni, muntagne staziose, burri, corpi di luce melampina, croste graalitiche, varicellose, foolmoni e sarsi ferrosi, cloache… sono diventati

perché vedi Antonio
se la paura di dare mortal respiro aguzza l’ingegno e rende impavidi quel lunghissimo secondo d’agonia celeste, innocuo il dolore, arioso il corpo e leggero, come parole posate sulle nuvole e con le nuvole lasciate andare, o ancora se dato mortal respiro io continuo a parlarti fusse ca fusse ca nu pocu me sta fissu?

perché vedi Antonio
io direi poco umilmente – datemi un fonema e vi racconterò il mondo – mentre tu da come arrotoli la lengua di pesce, sembri dire, mio stiffan, l’ordito d’o mundo è intrigante, l’òrrito delle cose di voialtri è sconvolgente, perciò i miei scoppi di vuoto, perciò le finezze malianti, le rughe color croco, lo stupore profondo, smemorante, le cische caddenti, i frisi festonnati… perciò perciò s’arrischia la lengua, quando spunta s’arrotonda – fummi, corsieri, busti, corpetti – è di un biancore a pois, gelide chiazze, tepori rosati, petaccio però: che sia petazzo, sfiziomio, che lascimpiedi la tremolante cassarmonica, che tutto scoperchi, tutto sprofondi in una nuova scia sotterra, che porti con sé la mia metà faccia, qualche foca che ho per troppo fuoco, per veluscio, per vinetto… che prti via tutto ’nsomma, che porti di me quel che vi ho detto, che scivoli senza arresto senza fondo

perché vedi Antonio
se dall’evoluzione della specie l’uomo somiglia sempre meno a se stesso… allora io tanto fervore non lo capisco, questa ostinazione a voler salvare i poeti dalle fiamme dell’inferno più inferno della terra, questo voler liberare i poeti dal loro impegno di buffoni di corte, dalla malasorte, con quell’ondeggiare tra la vita e la morte, ma poi… a noi che ce ne frega, noi sappiamo com’è iniziato tutto… e come andrà a finire tutto questo… perché noi vediamo all’orizzonte che corre, già corre la tila corre… e noè noè galleggia, non s’accorge ma perde consonanti, gemend, tondeggia… e la tila intanto corre e corre… la luce stupirà… stupirà i suoi occhi… e i miei così vergini di luce… che corra dunque… che corra questa scia, che giri sul giro della terra… che scinda, che scanni se vuole, porti erva di taglio e, nelle isazze, gli sfinimenti di un dio vendicativo, che ama le fòffule e i miraggi, corbelle frottole appannaggi… cantate cantastorie cantate, mimate cavalieri mimate le imprese dell’orzo bollito, suonate suoni suonatori suonate suoni non trasportabili in codici tipografici

perché vedi Antonio
o animale favoloso, o mio sperso, gnorreo, ciciarroso, o dolloso, o dolloso mio vecchio sogno che consumo in una città di boati o beoni, in un tempo che non tollera più buffonerie… ma pitto, farro, sbarro… cazzo… buffonerie saranno.
Eccome.