martedì 4 giugno 2013

Il libro mondo

 
Antonio Verri in treno in una fotografia di Fernando Bevilacqua virata in rosso

Antonio Verri, un classico in cerca di pubblico
di Rossano Astremo

Vidi per la prima volta la barba di Antonio Verri appesa - in fotocopia di non eccellente risoluzione -  ovunque tra i corridoi della facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Lecce. Era il febbraio del 2002. Io ero uno studente in Lettere. Da lì a poco mi sarei laureato con una tesi sulla Beat Generation. Da qualche mese distribuivo gratuitamente in tutta Lecce, assieme a due miei amici, Paolo e Vito, un foglio autoprodotto di poesie. Si chiamava “Ariosto 219”. Su quella fotocopia c’era scritto che, presso il Teatro Astragali di via Candido, si sarebbe svolto un reading tratto dagli scritti di quest’uomo barbuto e dallo sguardo perduto – in quella foto scattata dal sua caro amico Fernando Bevilacqua – chissà dove.
No, non sapevo nulla di Antonio Verri prima del 2002. Mi recai assieme a miei amici poeti, tutti poco più che ventenni, nello spazio teatrale diretto da Fabio Tolledi e, in quelle poche ore in cui silente assistetti a diverse letture, mi s’aprì osceno e per sempre il mondo biografico e poetico di Verri.
Di quella sera, a distanza di oltre un decennio, messa in piedi dai suoi amici più cari per celebrare il suo compleanno, a quasi dieci anni dalla scomparsa, avvenuta il 9 maggio del 1993, ricordo l’emozione di uomini e donne che sul piccolo palco del teatro si succedevano alternando a ricordi personali relativi al loro vissuto con Verri, passaggi dei suoi testi migliori. Ricordo Antonio Errico, Mauro Marino, Piero Rapanà, Maurizio Nocera, Ferndando Bevilacqua e lo stesso Tolledi.
Ricordo letture tratte da “Il naviglio innocente”, “I trofei della città di Guisness”, “Bucherer l’orologiaio”, “La Betissa” e lo stupendo manifesto poetico di “Fate fogli di poesia”, tratto da “Il pane sotto la neve”.
Ascoltando quelle parole che in piena travolgevano la mia attenzione compresi che di quel Verri tutto avrei voluto sapere. E subito. L’indomani mi recai presso la biblioteca centrale dell’Ateneo leccese e, compiendo una facile ricerca, vidi che di tutte le sue opere vi era una copia e quelle copie presto divennero mie, entrando con forza nel suo mondo poetico e narrativo e non uscendone mai più.
Antonio Verri è stato per la giovane generazione di letterati salentini,  a partire  dalla fine degli anni ’70 e per tutti gli anni ’80,  una sorta di faro, punto di riferimento, catalizzatore di energie, bussola che indirizzava azioni e riflessioni. Verri era un uomo dalle mille amicizie, dai molteplici interessi, instancabile costruttore di progetti, percorsi e azioni, il quale poneva lo stesso massimalismo – il tutto dentro – nella sua idea di mondo possibile, nella sua costruzione letteraria insonne emai doma e sempre. Riprendendo un mio intervento scritto nel 2005 e pubblicato sulla rivista”Incroci”, diretta da Raffaele Nigro e Lino Angiuli, mi pare tuttora valida l’idea secondo cui “per  Verri scopo fondamentale della sua esistenza e del suo ruolo di scrittore è quello di creare un libro che in grado di contenere l’intero Mondo, un libro infinito, fatto di parole meravigliose, splendenti, in continuo accumulo, in continuo divenire, attraverso un’azione di lavoro sul linguaggio quasi scientifica, mai sconclusionata, fortemente sentita”. La sua idea di scrittura era titanica, molossa, tendente all’infinito. Cosa vuol dire avere come obiettivo dare vita ad un libro in grado di contenere tutto il mondo, se non agire nella consapevolezza della sconfitta? La migliore letteratura prodotta da Verri nasce da questa crasi: da un lato la sua voglia di assoluto, dall’altro lato il prodotto finito del suo tentativo altissimo.
Eppure le pagine che ci ha lasciato, sono poesie e prose che resistono al tritacarne del tempo. Verri è già classico, come solo Bodini, nel Salento letterario del Novecento, perché le sue pagine continuano ad affascinare un nutrito pubblico di appassionati lettori. Qui, però, s’apre l’ultimo rivolo di questo mio intervento. Quel pubblico da nutrito dovrebbe divenire sempre più nutrito, ma lo scoglio sul quale frana l’acqua del suo flusso è dettato da ragioni squisitamente editoriali. In vita Verri pubblicò sempre con piccolissimi editori le sue opere. Dopo la sua morte, grazie all’azione generosa dei suoi amici, le sue opere sono state ripubblicate sempre da piccoli e battaglieri editori,  ma questo non ha permesso al suo genio – consentitemi questo termine per una volta – di avere gli allori che merita. Il passaparola non basta laddove la reperibilità degli scritti è assente.
Cosa possiamo fare per arginare il suo oblio, che sopraggiungerà imperioso qualora le sue parole scritte smetteranno di significare poiché saranno rese mute da una assenza di pubblico?

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