Antonio Verri s'arrende in una fotografia di Fernando Bevilacqua virata in rosso-arancio |
On Board e l'amica turca
di Maurizio Nocera
Bellissima. Turca. Esile come un giunco. Resistente a qualsiasi impeto. Anche amoroso. I capelli un ebano d’Africa notturna. Gli occhi da volpe delle nevi. Stupenda come una statua d’alabastro.
Solo il Verri poteva scoprirla negli anfratti più nascosti del Salento, il giorno che lei passò da questa parti. Sto scrivendo di Ayse Yazicioglu e il tempo, allora, era quello di «On Board», il foglio-rivista che Giovanni Pranzo Zaccaria finanziò giustificandosi di pubblicarlo perché – disse – di conoscere già da alcuni anni Antonio L. Verri, e con lui voleva dare delle risposte ai molti quesiti economico-finanziari posti dai pugliesi. In quell’occasione Pranzo Zaccaria (all’epoca presidente del Centro Regionale Servizi) disse pure di conoscere abbastanza bene le straordinarie qualità umane e professionali del poeta.
Antonio L. Verri aveva già al suo attivo la pubblicazione di giornali culturali come «Caffè Greco», «Pensionante de’ Saraceni», «Quotidiano dei Poeti», più numerose altre fanzine e libri, tutti pubblicati sotto l’egida del Centro culturale «Pensionante de’ Saraceni», del quale era l’anima vera.
Il primo numero di «On Board», mensile del C.R.S., fu il numero zero (febbraio 1990), la cui vita tipografica proseguì per ancora altri tre numeri, tutti corposi e leggibilissimi, nonostante che si trattasse di un foglio-rivista che spaziava dai temi di interesse economico-finanziario a quelli letterari e di varia umanità. Verri progettò graficamente il foglio e fu il direttore editoriale, Aldo Bello il direttore responsabile. I collaboratori redazionali furono: Georges Astalos (Parigi), Fernando Bevilacqua, Gina Bonavoglia, Giuseppe Cazzolla (Bari), Salvatore Colazzo, Roberto Conte, Giorgio Cretì, Ada Donno, Antonio Errico, Liuni Frattasi, Elio Fumai, Alberto Frugis, Claude Longo, Vito Maurogiovanni (Bari), Maurizio Nocera, Ada Provenzano (Roma), Fabrio Tolledi, Ayse Yazicioglu, Nello Wrona. Segretaria di redazione: Daniela Dòdaro. Amministrazione e pubblicità: Antonio Guariglia. Responsabile delle immagini: Fernando Bevilacqua. Stampa: TorGraf di Galatina. La direzione, la redazione e l’amministrazione: Lecce, piazza Mazzini, 4.
Di questa avventura giornalistica, lo stesso Verri scrisse: «“On Board”, un giornale di settore? Un bollettino? No, di certo. Molta ospitalità, questo sì. La più varia. Non per antologizzare, ma per cercare di capire e di superare l’incomprensibile di certi disagi, e ritardi e pregiudizi e mostruosità ambientali... Un giornale aperto, allora, che cede facilmente i suoi spazi (è questo il senso del non voler far quadrato se non con il lettore e l’operatore), che non vuol cambiare il mondo, che non ha pretese di ridurre il tutto ad una qualsiasi unità di misura ma che anzi, all’occorrenza, sa sposare molteplicità ed intraducibilità».
Ayse Yazicioglu scrisse su questo giornale due “pezzi”. Nel primo foglio scrisse Il montone nero (I, p. 31); nel secondo Il farfallone e la femmina ragno (II, p. 27). In questo stesso foglio Verri pubblicò un bellissimo disegno di Ayse, intitolato L'Urlo (II, p. 34); altri due suoi disegni, sempre ispirati alla cultura del ragno, furono pubblicai sul foglio n. IV (p. 6 e p. 37).
Il montone nero è una favola turca che narra di un giovane pastore al servizio di un ricco e crudele signore. Il pastorello sapeva così bene guidare le greggi e suonare divinamente il flauto tanto da far innamorare la figlia del signore. Del suo canto si innamorò persino il montone nero del suo gregge. Quando il ricco e crudele signore dei greggi si accorse dell’amore della figlia per il pastorello si adirò a tal punto da negarla come sposa al giovane. Tuttavia, alla fine, il crudele dovette soccombere quando si accorse che il pastorello fu in grado di superare tutte le prove a cui ostinatamente lo sottopose, fra cui quella di «dare del sale al gregge per tre giorni, quindi portare il gregge verso il fiume e poi farlo tornare indietro facendo in modo che nessuna pecora toccasse l’acqua». Gara che il pastorello vinse grazie al suono del suo flauto e grazie anche al montone nero che, a fine gara, scomparve per non essere mai più visto.
Anche l’altro “pezzo” di Ayse è una favola-metafora. L’intero titolo è: C’era una volta il farfallone e la femmina ragno, e narra di un farfallone dalle grandi ali in cui erano riposte tutte le sue speranze. Poi però la vita, vivendola, si complica. Accadde così che il farfallone cadde, attratto dalla luminosità di alcune perline di rugiada, nella rete di una ragna, che lo voleva tenere tutto per sé. E questo significò la perdita della libertà del farfallone. Ayse scrive qui un passo molto importante. Eccolo: «Lei [la ragna] faceva di tutto per tenere sempre occupato il suo bel farfallone, faceva di tutto perché lui, pur restando sempre nella sua dolce rete, passasse bene il suo tempo e non si accorgesse di niente… ma la libertà è ancora cosa che più si perde e più diventa desiderabile./ Io non so come e se potrà finire questa favola. Posso solo dire che tutto dipenderà dal farfallone, da quanta voglia di libertà è ancora in lui, o se ancora vuol tornare a volare./ Potrebbe tentare, dite? Volare… volare… Ci sono ancora mille purissimi colori, c’è il sole…».
Ayse, la cara Ayse. E quella sua città, Istanbul, dove alla fine ritornò a vivere con marito leccese e figli. Quando Antonio L. Verrì spiccò l’ultimo suo volo della vita nell’alto dei cieli, Ayse, commossa, scrisse a me ma per consegnare al Verri: «Istanbul 1995// Non è giusto, caro Antonio, non è giusto che sparisci così a lungo.../ Scrivere non è di me! Le parole mi sono straniere, disubbidienti, inafferrabili./ Mi manca la tua voce che, togliendomi l'imbarazzo, mi suggerisci, rendendo visibile ciò che io voglio intendere tramite le parole./ Mi manca il tuo tocco magico del Poeta, come guida nel mio "naviglio"./ Ho ancora tante domande.../ Come facevi a uscire dal vortice dei sogni, dove le immagini, i ricordi, le esperienze, linee-colori-forme giravano vertiginosamente, svanendo a volte, poi, ricomponendo, dove, io da artista disperata, cerco di captare l'attimo fuggente./ E perché io, ancora, non ho (il) coraggio a vagare ad occhi nudi della mente, senza (quei) maledetti occhiali della ragione?/ E poi, coma facevi ad essere sempre affezionato e curare i tuoi amici, come autentici e meravigliosi boccioli, incoraggiandoli, con amore e delicatezza; poi aspettare, fiducioso e paziente, la loro fioritura?/ Come facevi a vedere sempre ciò che è bello in loro, ignorando le spine?/ Che privilegio, fare parte del tuo giardino.../ La tua "Turca sognante" continua a sognare ma manca "il suono"// Ayse».
Quando Ayse mi scrisse questa lettera non era ancora pienamente convinta dell’accaduto. Le risposi e le dissi tutto ciò che noi ormai sappiamo già. Mi telefonò da Istanbul. A lungo. A lungo pianse. Terminò con la voce tremula singhiozzando “Antonio, Antonio!
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