Antonio Verri, un provinciale insofferente
"Parla del tuo paese e sii universale" è un aforisma
applicabile, senza enfatizzarlo, al nostro Antonio Verri (1949-1993),
il "provinciale" di Caprarica di Lecce.
La "salentinità", oggi un po' troppo proclamata, non gli fa da remora, per i suoi slanci extra fines; essa non è per lui che un privilegiato "punto di vista". Ora che è possibile abbracciare d'un colpo la sua non esigua produzione letteraria, ce ne rendiamo sempre meglio conto. Anzitutto nei supporti ideologici, innervati in complesse esperienze di vita e di cultura. Della sua partecipazione alla sessione 1986 degli "Incontri Poetici Internazionali", svoltasi nel settembre a Yverdon, in Svizzera, per citare l'evento più significativo del suo contatto con esperienze d'oltralpe, ha redatto egli stesso un vivace resoconto in dieci lettere, di alcune delle quali noi qui ci avvarremo per individuare i postulati della sua poetica.
Altro tramite di scavalcamento fra tradizione e sperimentalismo è la presenza di autori di varia nazionalità nei fascicoli della sua rivista Pensionante de' Saraceni, nell'ultimo dei quali (gennaio 1987) compaiono argentini e brasiliani, inglesi e svizzeri, islandesi e scandinavi, oltre agli italiani. Vi si affollano come in un pùllman, diretto verso una "internazionale della poesia". Né va taciuto, al riguardo, un decisivo dato esistenziale: l'esperienza giovanile in una "Germania kafkiana", a Sciaffusa, "a due passi dal Reno"; e qui, da uno spagnolo, compagno di lavoro, ode parlare per la prima volta di Lope de Vega, e legge Hofmannsthal, e dalle conversazioni con alcuni conterranei scopre Antonio De Ferrariis: nozioni e suggestioni che si sedimentano e già fermentano in una "voglia della letteratura".
La "salentinità", oggi un po' troppo proclamata, non gli fa da remora, per i suoi slanci extra fines; essa non è per lui che un privilegiato "punto di vista". Ora che è possibile abbracciare d'un colpo la sua non esigua produzione letteraria, ce ne rendiamo sempre meglio conto. Anzitutto nei supporti ideologici, innervati in complesse esperienze di vita e di cultura. Della sua partecipazione alla sessione 1986 degli "Incontri Poetici Internazionali", svoltasi nel settembre a Yverdon, in Svizzera, per citare l'evento più significativo del suo contatto con esperienze d'oltralpe, ha redatto egli stesso un vivace resoconto in dieci lettere, di alcune delle quali noi qui ci avvarremo per individuare i postulati della sua poetica.
Altro tramite di scavalcamento fra tradizione e sperimentalismo è la presenza di autori di varia nazionalità nei fascicoli della sua rivista Pensionante de' Saraceni, nell'ultimo dei quali (gennaio 1987) compaiono argentini e brasiliani, inglesi e svizzeri, islandesi e scandinavi, oltre agli italiani. Vi si affollano come in un pùllman, diretto verso una "internazionale della poesia". Né va taciuto, al riguardo, un decisivo dato esistenziale: l'esperienza giovanile in una "Germania kafkiana", a Sciaffusa, "a due passi dal Reno"; e qui, da uno spagnolo, compagno di lavoro, ode parlare per la prima volta di Lope de Vega, e legge Hofmannsthal, e dalle conversazioni con alcuni conterranei scopre Antonio De Ferrariis: nozioni e suggestioni che si sedimentano e già fermentano in una "voglia della letteratura".
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