La cultura dei Tao in una fotografia di Santa Scioscio |
di Oronzina
Greco
La scritto “ La cultura
dei tao”, del 1986, composto per il catalogo pubblicato in occasione della
mostra La cultura contadina” curata dal distretto 42 di Maglie, mi spinge ad
interrogarmi su quanto Antonio L. Verri abbia preso e interiorizzato dalla
cultura contadina nella quale era nato e cresciuto (a Caprarica in provincia di
Lecce).
C’è, in
questo testo(dalla scrittura piana e di agevole lettura) ,
la nostra gentecon le sue aspettative e le sue malinconie,la madre con i suoi
ammalianti racconti e i luoghi con le loro misteriose bellezze, popolatida
esseri fascinosi e dispettosi. La gente di qui viene definita da Verri “
stupenda” e presenta “l’umore di questa terra, ad essa confida i suoi mali, le
sue gioie, i suoi dubbi, le sue ondulate tristezze”. I luoghi sono “paesi che
sembrano piantati tra gli ulivi, paesi dai pozzi profondi, dalle infinite
cisterne per grano, per olio, per tutto…”.
Cito solo questi, ma diversi
sono i passi che parlano di gente e luoghi e la sensazione che ne ricavo,
leggendo ciò, è che Antonio abbia colto il senso profondo della terra che
influenza e plasma il pensiero degli uomini e soprattutto il pensiero di chi sa
raccogliere, custodire e far rivivere echi e segreti che essa racchiude.
Dalle
narrazioni di questa gente, egli coglie lo spirito autentico e profondo, il
valore immenso e immutabile, il respiro della terra e lo fa diventare mitico.
La vita del
piccolo paese contadino di Caprarica di Lecce, archetipo della vita di tutti i
paesini, specialmente del Sud, in un certo senso lo ispira. Egli osserva e
descrive tutto: gli ulivi, i rigidi inverni, il pane fatto in casa per
distribuirlo il giorno di Sant’Antonio, la doppia cotta di pane per i
matrimoni, la fiera di San Marco, le squadre per la monda… Da tutto questo
prende l’avvio e, su questo, Antonio Verri costruisce, costruisce il nuovo.
Dalla
letteratura di questa gente egli prende “pane” e nutrimento per la mente, per
farlo crescere e vivere in altri posti e contesti, per creare stupore e
organizzare eventi che aggregano e fanno discutere. “Carismatico tessitore di
nuove trame di fili rosso Salento” dice di lui Raffaele Nigro in un articolo su
“La Gazzetta
del Mezzogiorno”.
Osserva e
ascolta! Ascolta i racconti, le storie di questa cultura contadina, la quale
comunica con la forza, l’efficacia, il colore e il calore dell’oralità senza la
mediazione della scrittura.
Scrive
Verri: “Durano conti…Parole rugose, cantilenanti, sogni, costruzioni le più
audaci (da far impallidire scrittori di professione)… Ecco, durano i conti… e
ci sarà sempre un povero favolista a narrarvi di un cuecolo di neve che molto
tempo fa dei ragazzi festosi, goliardi, furenti, cominciarono ad appallottolare
nella piazza bianca” .
Nelle
affabulazioni e con le affabulazioni, in questa cultura, passa anche la vita
vera perché, oltre la durezza del lavoro, il sudore della fronte e il
sacrificio, c’è sempre la ricerca di un “altrove”, c’è sempre, in questo
universo, la tensione di una ricerca, pur nell’apparente immobilismo, fosse
anche solo per mitigare un’esistenza grama e difficile, per rendere più
accettabile la fatica del vivere quotidiano.
Cogliere,
respirare, vivere, interiorizzare le storie di questo mondo contadino
attraverso la madre perché “è lei la depositaria, è lei la rappresentante di
questo mondo” è stato naturale, per Verri, nel tempo della sua infanzia e
adolescenza così come è stato naturale far tesoro di tutte le storie che “sono
cariche di quella lusione, …storie intorno al tavolo, col fuoco, …” e
recuperarle, trasfigurandole, e inserirle, mitizzate e trasformate, metaforiche
e nascoste, negli scritti successivi.
Osserva,
ascolta, trasforma. Crea sogno e immaginazione.
“Parlava, la
mar, di freddo, di neve, mi raccontava la storia dei tre giorni della merla…io
ci legavo il pane, la meraviglia della pasta che cresceva”.
La cultura
della madre che è la cultura del mondo contadino di questo nostro Salento
dell’altro ieri, conserva e tramanda, accanto ad elementi di vita materiale,
anche elementi favolistici come i tao,
spiritelli che vivono a mezz’aria, buoni e dispettosi che incutono leggeri
timori ma anche rispettose riverenze, elementi di cui ci si fida e che sono
dappertutto: sui comignoli delle case, vicino al fuoco, sui campanili dei
paesi. I tao, accompagnano anche le storie dei “narratori di cunti”, le quali
mitigano il dolore, i dolori della gente comune, facendola volare con la fantasia verso una vita diversa, meno dura e faticosa,
anche solo semplicemente sognata.
In tutto ciò
Verri è stato “impastato” sin dall’infanzia; l’ascolto di narrazioni semplici e
complesse insieme, favolistiche, fantastiche hanno senza dubbio aiutato a
costruire, costituire il “sé narrabile dello scrittore-poeta di Caprarica di
Lecce se è vero quello che scrive Adriana Cavarero che “ ogni essere umano,
senza neanche volerlo sapere, sa di essere un sé narrabile immerso
nell’autonarrazione spontanea della sua memoria…”
La
ricchezza, l’originalità, l’inventiva, l’estro dello scrivere di Antonio Verri
passano anche per questa via.
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