domenica 10 novembre 2013

Bonea, Verri e gli amici di Verri


di Gigi Montonato

Concepito nel 2003, per celebrare il decimo anniversario della morte di Antonio Verri, l’opuscolo di Ennio Bonea, “Antonio Verri, l’uomo-rivista”, vide la luce nella mia collana “I quaderni del Brogliaccio”, al n. 2 - Marzo 2004. Ignoro se Bonea avesse tentato prima di pubblicarlo altrove, senza riuscirvi. Lo propose a me ed io glielo pubblicai. Il titolo fu suo, peraltro ripreso da Toni Maraini (sorella di Dacia), che così aveva definito Verri.
Ho letto delle cose di Verri e su Verri post eius mortem, ma mai mi è capitato d’imbattermi in una citazione di quell’opuscolo. Dal che ho dedotto che quel lavoro non piacque agli amici e agli estimatori di Verri.
Le ragioni probabilmente si perdono nel groviglio di rapporti obliqui nel mondo degli intellettuali salentini. Bonea aveva i suoi amici e i suoi devoti, ma aveva anche i suoi detrattori. Come tutti, del resto. Antipatie e simpatie riemersero, ancora una volta, qualche anno fa nel corso di una celebrazione alla Biblioteca Caracciolo a Lecce da parte di Carlo Alberto Augieri, quando Valli rivendicò la superiorità della scuola filologica di Marti contrapponendola a quella dalla quale era disceso Bonea. Augieri e Giancarlo Vallone ne presero le difese.
Personalmente ho conosciuto Antonio Verri una sera di non ricordo bene né giorno né mese del 1985 a Galatone, dove, promotore Vittorio Zacchino, fu presentato il libro di Verri “Il fabbricante di armonia, Antonio Galateo”. Prima non ci si era mai incontrati, ma lui diede ad intendere che mi conosceva, chiamandomi per nome, e mi salutò con tanto calore e tanta cordialità da farmelo percepire come una gran bella affabile persona.
Ma torniamo al Verri di Bonea. Sono trascorsi ormai quasi dieci anni da quell’opuscolo, venti dalla morte di Verri, maggio 1993. L’ho ripreso in mano e me lo sono riletto. I contenuti – una sorta di regesto delle sei riviste fondate da Verri – sono preceduti da un prologo, in cui Bonea parla dell’irregolarità del personaggio, che lui aveva avuto allievo all’Università di Lecce.
«Chi scrive – ricorda Bonea – lo ha avuto studente universitario ed ha, forse, la responsabilità di avergli fatto abbandonare l’università e a partire emigrante in Svizzera. Aveva una particolare concezione della letteratura, che nulla aveva di organico. All’esame che egli sostenne di Storia della letteratura moderna e contemporanea, ignorava del tutto il programma svolto per le lezioni.[…]. Non si laureò mai». 
Da docente, quale sono stato per quarant’anni, non posso non essere d’accordo con Bonea. La scuola è fatta di programmi, di contenuti da studiare e dimostrare di conoscere, di prove scritte e orali, un universo di regole, di scadenze ineludibili e indifferibili. Chi, per sua natura, è fuori da quell’ordine a scuola vive le pene dell’inferno. Verri, ad un certo punto, volle farla finita; lasciò l’Università e se ne andò a conoscere il mondo in ogni altra sua dimensione che non fosse quella degli odiati piani scolastici. Finì in Svizzera, a lavorare come tanti altri emigranti salentini.
Una più o meno simile esperienza la visse Salvatore Toma al Liceo “Capece” di Maglie, dove il prof. Claudio Micolano – severo professore di Italiano, Latino e Greco – non poteva tollerare nella scrittura dei temi la forma scorretta dello studente-poeta. Si dice: ma perché la scuola non comprende simili soggetti? Per la natura stessa della scuola, che è fatta – come si diceva – di regole. Gli sregolati o irregolari, che dir si voglia, per quanto geniali, sono incompatibili.
Bonea, pur avendo per la poesia e la narrativa postmoderna, in cui Verri scrittore sarebbe stato inserito dai critici, nella sua funzione di docente non poteva non valutare Verri se non per le conoscenze di un programma. 
Forse Bonea, parlandone qualche anno dopo per ben altra ragione, sarebbe potuto entrare subito in medias res senza sottolineare la di lui pregressa esperienza negativa. Anche perché sul Verri fondatore e direttore di riviste c’era già tanto da dire.
Il fatto va visto e spiegato in un contesto diverso. Verri – ma non è il solo nel panorama salentino e meridionale – ha espresso con le sue esperienze editoriali e i suoi scritti, a prescindere dal valore – un aspetto di tipo classista degli intellettuali-scrittori. Egli aggiunse alle dialettiche antinomie poveri-ricchi e proletari-borghesi, quella di intellettuali privi di mezzi e intellettuali con abbondanza di mezzi, rivendicando la partecipazione dei primi per rompere un dominio di “classe”, altrimenti appannaggio esclusivo dei secondi.
Calzante o meno questo schema, di chiara derivazione marxista, sta di fatto che è riscontrabile in gran parte del Salento e forse di tutto il Meridione a partire, in crescendo, dalla metà del Novecento. Si tratta di un fenomeno diffuso da analizzare con gli strumenti propri della sociologia politica. E’ un aspetto importante della trasformazione antropologica che ha caratterizzato e travagliato l’esistenza per secoli delle classi povere, che con la crescente alfabetizzazione sono passate dalle forme orali a quelle scritte della loro comunicazione, fino alle opere letterarie vere e proprie.  Non c’è paese del Salento in cui non esista un Salvatore Toma o un Antonio Verri, forse non sempre alla stessa altezza, ma sempre con lo stesso intento di imporsi in un mondo dal quale spesso si viene esclusi o respinti. La grammatica, la sintassi, la consecutio, i contenuti regolari, a cui la scuola, ovvero la “classe dominante”, si appella per giustificare l’esclusione, sono per questi poeti e scrittori le barriere architettoniche che impediscono l’accesso ad un portatore di handicap. Ma essi, le barriere formali dell’espressione, le possono violare e le violano. Il diritto di esprimersi e di far sapere agli altri i loro pensieri, le loro idee, le loro forme di comunicazione ha il sopravvento su tutto.
Perché io che non ho i mezzi non devo esprimermi, farmi conoscere e magari valgo anche più di te che hai i mezzi e tutto quello che serve per avere il successo? Ecco la domanda che i vari Verri si pongono. E Antonio Verri organizzava riviste per creare spazi e metterli a disposizione di quanti volessero esprimersi, a prescindere dalle regole e qualche volta perfino a loro dispetto.
Probabilmente Bonea, scegliendo il Verri “uomo-rivista”, volle ribadire la bocciatura dell’ ”uomo-scrittore”. E questo agli amici di Antonio non è mai andato giù.

Gigi Montonato

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